Pollice e penna
A dire il vero ci penso ogni volta che scrivo, costretto a impugnare la penna in modo insolito. Con tanto esercizio la mia grafia ora è perfettamente leggibile. Chissà, forse è giunto il momento di comprare una moderna macchina per scrivere e mettere da parte la Parker in ebanite da trentacinque lire, ma troppi ricordi mi legano a lei. Sembra che siano rimasti incapsulati nel serbatoio dell’inchiostro, che non aspettino altra occasione per uscire dal pennino e trasformarsi in parole, lucide e ordinate, in voci e sorrisi, sguardi, sogni e delusioni.
Pensando a mente fredda a quegli eventi, direi che siano stati attraversati per intero da una netta sensazione di ineluttabilità: vedo una mano invisibile, forte e decisa che tira i fili del destino. Ogni personaggio della vicenda, me compreso, ha recitato la parte che gli è stata attribuita da un copione scritto da altri; ognuno immerso nel proprio ruolo, senza alcuna deviazione. Sarebbe bastato un piccolo fattore di disturbo, un battito di ciglia fuori posto e la vicenda avrebbe preso pieghe imponderabili. Bastava dire no a zia Tina, tanto per cominciare. Potevo prendere a cazzotti Scorza per quella sua dannata busta; se l'avessi fatto, il titolare dell’Angleterre mi avrebbe licenziato, ed ecco che sarei uscito di scena. Sono pentito per non avergli rotto il grugno; quel fesso di romano ora mi sarebbe stato grato per l’eternità.