23 gennaio 2021

L'appunto smarrito

 Pollice e penna

A distanza di tempo penso spesso a quella mattina d’estate.

A dire il vero ci penso ogni volta che scrivo, costretto a impugnare la penna in modo insolito. Con tanto esercizio la mia grafia ora è perfettamente leggibile. Chissà, forse è giunto il momento di comprare una moderna macchina per scrivere e mettere da parte la Parker in ebanite da trentacinque lire, ma troppi ricordi mi legano a lei. Sembra che siano rimasti incapsulati nel serbatoio dell’inchiostro, che non aspettino altra occasione per uscire dal pennino e trasformarsi in parole, lucide e ordinate, in voci e sorrisi, sguardi, sogni e delusioni.

Pensando a mente fredda a quegli eventi, direi che siano stati attraversati per intero da una netta sensazione di ineluttabilità: vedo una mano invisibile, forte e decisa che tira i fili del destino. Ogni personaggio della vicenda, me compreso, ha recitato la parte che gli è stata attribuita da un copione scritto da altri; ognuno immerso nel proprio ruolo, senza alcuna deviazione. Sarebbe bastato un piccolo fattore di disturbo, un battito di ciglia fuori posto e la vicenda avrebbe preso pieghe imponderabili. Bastava dire no a zia Tina, tanto per cominciare. Potevo prendere a cazzotti Scorza per quella sua dannata busta; se l'avessi fatto, il titolare dell’Angleterre mi avrebbe licenziato, ed ecco che sarei uscito di scena. Sono pentito per non avergli rotto il grugno; quel fesso di romano ora mi sarebbe stato grato per l’eternità.

    Insomma, la storia sembrava scritta da qualcun altro e non c’è stato verso di deviare dal suo corso.

Ho sempre desiderato raccontare di un delitto o un fatto di cronaca eccezionale, mai avrei creduto di poterne essere coinvolto, ci sono scivolato dentro non volendo: tutta colpa di Geppino, il portiere di notte dell’Angleterre. Se avesse detto no a quel dannato savoiardo, le cose sarebbero andate diversamente. Magari non sarei qui ora a raccontarvelo, costretto dagli eventi ad affrontare una realtà ben più dura e sanguinolenta. Sono andato vicinissimo alla morte e non sarebbe stata una fine dignitosa. Sarei finito sulla prima pagina del Risorgimento Nazionale: “Tragica fine di un sovversivo pericoloso. Si ignorano le cause del delitto. Scannapieco vittima dell’odio dei suoi compagni anarchici?”.  

Mia madre sarebbe morta di crepacuore, dopo tutte le disgrazie capitatele quell’anno.

Nell’albergo in cui lavoro ancora come maître, ne arriva di gente: commessi viaggiatori, funzionari ministeriali in trasferta, capitani di industria, finanzieri e ogni genere di affaristi. D’estate poi, oggi come allora, le camere si riempiono di persone bisognose del clima buono e dell’aria di mare. Gli attori e gli orchestrali che si esibiscono al vicino teatro Verdi, preferiscono in genere trascorrere la notte da noi; cantanti lirici e belle signorine, gente di spettacolo, ma anche artisti di second’ordine che al massimo si concedono una scappatella da Donna Mariuccia Ventrefino, al postribolo dei Barbuti.

    Chissà quante cose potrebbero raccontare le nostre vite, quanti segreti; ma di ciò che è stato di quella tragica mattina, dei villeggianti dell’Angleterre e della mia falange del pollice, niente si troverà scritto nei libri di Storia.

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