Io sono Héctor
Viceregno di Napoli, golfo di Salerno, primavera 1551.
Héctor si svegliò convinto che neanche in paradiso, nel caso possedesse un mare di indulgenze, quell’incubo avrebbe avuto fine. Si strofinò la faccia cercando di scacciare dalla mente quegli occhi grandi e neri della bambina, sempre la stessa, e l’immagine finale del suo abito risucchiato dal mare.
C’era anche lui, affacciato dall’impavesata della nave a osservare quella scena, mentre un ciuffo di capelli spariva tra le onde. Provava inutilmente a gettarsi in acqua per salvarla, ma una mano lo tratteneva.
Seduto sul bordo della branda, iniziò a frugare tra lecoperte in cerca del suo sacchetto di foglie. L’inferno lo attendeva, ne era certo, malgrado le assoluzioni. Era solo questione di tempo. Prima o poi avrebbe fatto i conti con Satanasso, nonostante avesse confessato i propri peccati
almeno un paio di volte, nella speranza di incontrare presto un sant’uomo che sapesse indicargli il cammino per la redenzione.