Cicerone si alzò dal proprio scranno
e attese che i colleghi ritornassero ai loro banchi e il presidente gli desse la parola.
Quando il silenzio avvolse l'assemblea, si portò al centro della sala,
tenendosi un lembo della toga. Volse lo sguardo attorno, fissando per qualche
attimo Clodio, suo acerrimo nemico.
«Il quesito dei tribuni è
accattivante, non c'è che dire» esordì il console. «Nessuno più di me nutre
rispetto e amore per questa Repubblica» continuò abbracciando simbolicamente le due ali
dell'edificio. «Ma dobbiamo stare attenti a non fare il lavoro dei suoi nemici.
Clodio si muove su un terreno ambiguo; sostenere che per proteggere le nostre libertà dobbiamo ridurre le libertà, che
per difenderci dalla dittatura dobbiamo nominare un dittatore, e in questo
caso, daremo più voce ai cittadini tagliando la loro voce.... Che logica è mai questa!» Qualcuno mugugnò dal fondo della sala.
«Credete forse che il popolo abbia troppa voce nelle faccende dello Stato?»
Cicerone posò i suoi occhi sul giovane Cesare, appena nominato Pontefice Massimo, poi mosse alcuni passi in direzione
dei propri amici, quindi si girò verso Clodio, seduto sullo scranno con aria
indifferente.
«È per un risparmio, direte voi»
continuò il senatore. «E a chi non dispiacerebbe una bella sforbiciata, mandare
a casa un po' di fannulloni. Ma si avverte puzza di bruciato nella faccenda,
puzza di cricca e di liste bloccate, che piacciono moltissimo ai capipartito
così che possono infilarci dentro quelli di loro gradimento. Perché bisogna
intenderci, se a farne le spese è la rappresentanza.
«Dopo anni di propaganda contro la
casta e i vitalizi, ecco che con grande intelligenza e acuto senso dello Stato,
ci viene proposto il famigerato taglio. Pensate che con meno rappresentanti si
elimini la corruzione, per esempio? Che basti questo a rendere più ligi ai loro
doveri gli altri? Credete che le leggi siano migliori e giuste se pensate e
scritte da un manipolo di senatori?» L'arpinate incrociò le braccia e corrugò la fronte.
«Non c'è uno straccio di riforma seria
nelle ragioni del sì, ma un ammiccante invito al voto come un sorriso languido di una puttana; un solletico irresistibile per
la pancia della gente.»
Clodo scattò in piedi e puntando l'indice
contro Cicerone esclamò: «Offendi il popolo!»
«È questa assurda legge da te proposta
a mortificare i loro diritti; una legge alla quale mi oppongo con un deciso e
convinto No» replicò il senatore, picchiando il pugno nel palmo dell’altra mano.
«No. Ciò che serve è una riforma
vera e articolata, che dia spazio alla voce di rappresentanti nuovi, saggi,
giusti e preparati alla politica, che non siano sul libro paga di una oligarchia rapace e bieca.
«Questa repubblica, stanca e sfiduciata nei propri mezzi, ha bisogno di idee
lungimiranti, di programmi e di speranze per i giovani, non di un'aula
trasformata in una Dieta coi suoi rappresentanti ridotti al ruolo di scaldasedie o peggio, di servili notai dei Consoli di turno...
Per questo io voto No.»
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