La città si era svegliata
ricoperta da un candido strato di neve. Da dieci anni a questa parte, la notte del 24 di dicembre, il bianco ovattava case, giardini e le lunghe strade alberate. E ogni anno, il principale
quotidiano cittadino dedicava all’avvenimento la prima pagina con una foto gigante
della spiaggia innevata, sulla cui superficie si rifletteva la luce argentea del mattino.
Era
rassicurante vivere nella certezza che le stagioni fossero sempre uguali a loro
stesse. Il ghiaccio era ritornato ai Poli, la primavera si
riproponeva puntuale, dolce e giuliva, le rondini riempivano l'aria di richiami e il cielo era azzurro
come non mai.
La maggior parte dei cittadini era consapevole del
cambiamento conseguente a quei giorni cupi, trascorsi barricati in casa, in
attesa che la tempesta si placasse.E quando il
cielo si era liberato dei nuvoloni, fu chiaro al mondo intero che le cose potevano andare meglio, se solo i suoi abitanti avessero compreso il messaggio di quel microscopico
organismo, se ognuno avesse avuto un po' di coraggio per rinunciare a qualche cosa. I vantaggi erano stati così evidenti e inequivocabili, che per fortuna
solo pochi, avidi e cattivi, continuavano a ignorare.
In Covid-19
Street - la strada principale dei caffè all’aperto, dei negozi e delle librerie
affollate di clienti - gli alberi piantati nel ricordo di quei giorni, crescevano
rigogliosi, felici anche loro per i fiocchi di neve che cadendo, accarezzavano
i loro rami. Al centro di Covid Place campeggiava una singolare opera d’arte,
raffigurante una enorme sfera di bronzo dalla quale spuntavano piccoli bracci a
forma di trombetta; era l’inno della rinascita, diceva la targa deposta il 23
febbraio di dodici anni prima. L’opera sotto la neve sembrava un gigantesco
igloo, che dava ospitalità all’umanità ritrovata, all’Uomo Nuovo.
Dal Covid
Library Center, il nuovo edificio di tre piani, eretto con le donazioni di
ricchi industriali, che circondava tre quarti della piazza, uscivano gli ultimi
accaniti lettori. Contava già tre milioni di volumi e più di mille
frequentatori giornalieri.
La gente
camminava in strada con il volto sorridente; sarebbe tornata a casa ansiosa di
riprendere la lettura dopo la cena. Leggere era diventata una mania, leggevano
tutti, avevano imparato a farlo durante il lock-down e nessuno aveva mai più
pensato di smettere."
«Pà» disse sottovoce la bambina, seduta all’ombra
di una tenda fuori al balcone di casa.
L’uomo sonnecchiava, sprofondato su una
sedia a sdraio dal telo sbiadito e uno squarcio all'altezza del sedere.
«Paaà...» fece di nuovo la bimba, pungolandogli la spalla con un dito.
L'uomo si appioppò una manata.
Non osava muoversi, immerso in una bagno di sudore. Il rumore in sottofondo del traffico veicolare era perenne. Portare la mascherina in quelle condizioni era assurdo, ma era diventata obbligatoria per via dello smog. Meglio le polveri sottili, la puzza di gasolio che il caldo infernale, si diceva, e in casa per giunta si stava peggio che in una fornace.
Per il sesto anno consecutivo il razionamento idrico si faceva sentire
pure sulla fornitura di energia elettrica. In primavera - che poi sempre estate
pareva fosse - si era deciso a smontare i climatizzatori - ferri vecchi
arrugginiti - per darli a un rigattiere.
«Paaaà!» ripeté la bambina, battendo il libro sulla coscia di suo padre.
«Che c’è?» rispose finalmente l'uomo con una voce fiacca.
La bimba poso a terra il libro e si tolse la mascherina.
«Pà, perchè hai smesso di leggere?»
«Non c’è
niente di interessante sul giornale»
La bimba
guardò il cielo velato di grigio tra uno scorcio fatto di antenne, parabole e
cemento. Del sole si intuivano solo i contorni neri, prodotti dall’atmosfera
satura di gas e zolfo. Un tempo era venerato come un dio padre della vita, ora
era solamente un disco anonimo, impalcabile.
«Tu l’hai mai
vista la neve?» chiese al padre.
«Qualche volta, quando avevo la tua età.»
«È vero che è
divertente?»
«Facevamo le
palle e ce le tiravamo addosso. A mezzogiorno finiva tutto.»
«Perché non
arriva più?»
«Si crepa del caldo
anche d’inverno.»
La bambina
sporse la faccia tra le sbarre della ringhiera. Il sole picchiava sui cofani
delle auto ferme al semaforo e dall’asfalto infuocato salivano colonne d’aria rovente.
«Perché non mi porti a vederla?»
«È per gente straricca,
un biglietto per il nevodromo costa uno stipendio.»
Era stata
costruita una pista da sci lungo il fiume, dove l’acqua prelevata era
utilizzata per farne neve artificiale. C’era stata una petizione popolare per
farla chiudere almeno nei mesi più infuocati, così che l’acqua risparmiata potesse arrivare nelle case e alle centrali elettriche. Ma la petizione era stata bollata come illiberale e comunista, un vero oltraggio al libero mercato.
La bimba
riaprì il libro, soffermandosi sulla figura raffigurante la piazza innevata, la
bella biblioteca e l’opera d’arte. Con un po’ di invidia e malinconia osservava
i bimbi rincorrersi attorno alla buffa sfera.
«C’è stato
davvero questo co... co... covid 19, così come dice il libro?»
«Sì che c’è stato» rispose lui.
«È vero che
dopo sono nate nuove città, che il mare era tornato pulito, che i cervi
mangiavano nei giardini delle case e che la gente era diventata più buona e
saggia?»
«Naaa, tutte
balle messe in giro per infinocchiare quelle come te.»
«Non mi sembra
giusto che tu abbia visto la neve e io no. Chissà se la vedrò mai.»
«Impara a
crescere figlia mia. Dove le hai lette queste sciocchezze?»
«È scritto
qui, nel libro» rispose la bimba.
«Tua madre
spreca soldi...» sbottò il padre e si girò dall’altra parte, rannicchiando le
gambe sotto la pancia. Una zanzara andò a posarsi sulla schiena luccicante di
sudore, segnata dalla trama della sdraio.
In
quell’istante, una moto sfrecciò sotto il balcone, attraversò l’incrocio
lasciandosi dietro una nuvola di fumo.
«Rimettiti la
mascherina, sennò ti viene un altro attacco allergico.» fece il padre.
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